SHE: un sito in italiano dedicato alle donne con HIV

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Dora
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Re: SHE: un sito in italiano dedicato alle donne con HIV

Messaggio da Dora » venerdì 12 ottobre 2012, 9:59

Posto qui, per adesso, questa intervista a Massimo Galli, perché non riesco a ricordare se esista già un thread specifico dedicato alle donne con HIV nei trial clinici (esisteva nel vecchio forum, qui non so).

Vedere anche i thread



Più donne nei trial clinici per L’HIV (I) e (II)

Eleonora Viganò, 12 ottobre 2012

Gli scienziati sono frustrati: sono poche le donne che partecipano ai trial clinici studiati per testare i vaccini anti-HIV nei Paesi in via di sviluppo, quelli in cui l’AIDS risulta più diffuso. Le donne, stando a quanto discusso alla Conferenza AIDS Vaccine 2012 che si è tenuta a Boston dal 8 al 12 settembre, rappresentano solo un quinto di coloro che partecipano a questi test di sperimentazione.

Le ragioni di questa latitanza – nei Paesi in via di sviluppo – sono connaturate al contesto sociale e alle difficoltà incontrate dalle eventuali volontarie. Devono evitare una gravidanza durante tutta la sperimentazione, essere libere di potersi esporre come soggetti a rischio, subendo lo stigma da parte della comunità in cui vivono, chiedere il consenso dei familiari, spesso negato, e infine potersi sottoporre a numerose visite ed esami, magari a chilometri di distanza da casa. In altri test – cita l’autore dell’articolo pubblicato su Nature – i partecipanti hanno dovuto presenziare a 22 visite e 7 esami in 18 mesi, recandosi ogni volta sul luogo della sperimentazione. E questi problemi si riscontrano anche per altre patologie, come nel caso del vaccino contro il papilloma virus in Mali.

Lo sconforto degli scienziati è quindi comprensibile: “potremmo ottenere un vaccino che susciti una buona risposta immunitaria negli uomini”, ha detto Hannah Kibuuka, direttore del Walter Reed Project dell’Università Makerere (MUWRP) in Uganda, “ma non potremo sapere se funziona altrettanto bene nelle donne”.

Eppure le donne sono le più vulnerabili al contagio in caso di AIDS per via sessuale, a causa dell’esposizione allo sperma che contiene più virus rispetto al liquido vaginale. Gli organi genitali femminili sono inoltre più soggetti ad abrasioni e leggere ferite della mucosa che le rendono più sensibili rispetto agli uomini eterosessuali. Le donne sono esposte a stupri, violenze, e hanno scarso potere, in alcuni contesti, nel pretendere che l’uomo utilizzi il preservativo. Per approfondire il tema complesso delle differenze di genere nella infezione da HIV e nella sperimentazione clinica, abbiamo intervistato Massimo Galli, professore ordinario di malattie infettive dell’Università di Milano e primario all’Ospedale Sacco.

Nei trial clinici nei Paesi in via di sviluppo mancano le donne …

La scarsa presenza della donna è un problema globale, che riguarda anche i trial clinici disegnati nei Paesi occidentali. Le sperimentazioni sui farmaci antiretrovirali sono partite nei Paesi ricchi, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, e non da molti anni coinvolgono anche Paesi in via di sviluppo. È un problema serio, perché gli studi su cui oggi si basano le scelte terapeutiche spesso si fondano per le donne su un numero limitato di dati e le differenze di genere non sono trascurabili quando si devono decidere dosi e modalità di somministrazione dei farmaci o considerare le tossicità, alcune delle quali impattano diversamente sul donna rispetto all’uomo.

Quindi anche nei trial occidentali mancano le donne?

Negli Stati Uniti e in Europa la selezione dei partecipanti è stata condizionata dalla diffusione della malattia, che inizialmente interessava soprattutto uomini che fanno sesso con uomini e i tossicodipendenti, che sono in maggioranza maschi. In Italia solo il 23% delle diagnosi di AIDS osservati dall’inizio dell’epidemia riguardava persone di sesso femminile e nel 2009 il rapporto tra maschi e femmine delle nuove diagnosi di sieropositività rimaneva di tre a uno. Nei Paesi del terzo mondo invece le donne colpite sono più del 50% dei casi, in aumento.

Cosa significa partecipare a un trial?

Come si può immaginare nei Paesi in via di sviluppo i problemi che portano alla carenza di donne nei trial sono collegati alle condizioni sociali e culturali. Far parte delle sperimentazioni per le terapie antiretrovirali significa in molti casi dover fare outing, testimoniare la propria condizione e i propri stili di vita, subendone le conseguenze: isolamento, chiacchiere, violenze domestiche. Sono molti i casi descritti in cui un marito o un partner, nonostante fosse il probabile “untore”, abbia reagito violentemente, una volta posto di fronte al problema, riversando tutte le colpe sulla donna. Vanno ricordate anche le differenze culturali nell’interpretazione del concetto stesso di malattia, che in certi contesti mantiene connotati soprannaturali. Queste situazioni sono le stesse che limitano l’adesione delle donne a sottoporsi ai test diagnostici con il rischio di ritardare l’inizio della terapia e la possibilità di evitare la trasmissione al partner o al figlio.

Quali sono le ipotesi sulle differenze di genere nell’HIV?

Esistono una serie di ipotesi sulle varie differenze tra uomini e donne che riguardano il contagio, la progressione della malattia e l’aderenza alla terapia. Nell’era della terapia antiretrovirale non è chiaro se la progressione della patologia possa essere peggiore nella donne, come era stato suggerito. Negli studi, le donne in genere prendono meglio la terapia e raggiungono più elevate percentuali di successo terapeutico. Nella vita quotidiana restano le limitazioni di cui sopra, che possono mettere le donne più in difficoltà degli uomini. La gravidanza è stata indicata come un rischio per la progressione della malattia, ma questo non avviene nelle donne che ricevono un adeguato trattamento antiretrovirale in gravidanza.

Per verificare quando iniziare una terapia e tenere sotto controllo il decorso, i medici valutano il numero delle cellule del sistema immunitario prese di mira dall’HIV, i linfociti T helper, che esprimono sulla loro superficie una proteina nota come CD4, riconosciuta dal virus. L’ingresso del virus nei T helper CD4 provoca una diminuzione nel loro numero, da tenere monitorato per tutta la durata della malattia e che dovrebbe risalire grazie alle terapie. I dati sulle donne non sono conclusivi e concordi nemmeno sull’ipotesi che vi sia una maggior difficoltà nel ripristinare i valori di CD4. Sembra anzi che la miglior aderenza alla terapia porti a una miglior probabilità di “recuperare” CD4.

In che modo il sesso del paziente influisce sulla mortalità?

Citerei uno studio recentemente pubblicato su Scandinavian Journal of Infection Disease che riprende tutti i lavori scientifici precedenti. La ricerca danese, condotta dal Dipartimento di malattie infettive dell’Università di Copenhagen, conclude che il sesso non ha influenze sulla mortalità dovuta all’AIDS, sebbene gli uomini che fanno sesso con uomini siano a rischio inferiore di morte rispetto alle donne e agli uomini eterosessuali. Le differenze anche in questo caso sono dovute a fattori confondenti come una scasa adesione alla terapia, lo status sociale e culturale e un eventuale ritardo nella diagnosi.

Poiché il livello culturale e sociale è mediamente più sfavorevole per le donne in tutto il mondo, un ritardo nella diagnosi e una scarsa adesione alla terapia da fattori socio-culturali possono pesare parecchio per alzare le medie di mortalità femminile dovute all’AIDS. Ma se ben trattate e liberate dagli ostacoli peggiori, a parità di condizioni le donne assumono i farmaci in modo costante e meglio degli uomini.

Quali sono i “dati mancanti”?

Le carenze sperimentali limitano le conoscenze sulle modalità ottimali della somministrazione dei farmaci antiretrovirali nella donna, per la quale quindi non disponiamo, con altrettanta precisione rispetto all’uomo, di alcune informazioni ad esempio su metabolismo e assorbimento dei farmaco in un paziente in cui massa corporea, distribuzione di tessuto adiposo, attività ormonale ed enzimatica sono chiaramente diversi. Di alcune tossicità, peculiari nella donna, ci si è resi conto dopo diverso tempo dall’introduzione delle terapie nella pratica corrente. E non dimentichiamo che anche i bambini rappresentano una situazione “semi orfana”, ancora più grave di quella femminile: i pediatri devono combattere con importanti limitazioni terapeutiche e la ricerca su terapie nuove o meglio studiate per i bambini è ancora molto carente.

Esiste un collegamento tra i dati mancanti e la progressione della malattia?

L’insuccesso terapeutico nelle donne è dovuto essenzialmente alla tossicità da farmaco. Sappiamo che il fattore di tossicità cardiovascolare pende a sfavore degli uomini, mentre la donna è più incline a subire danni a ossa e reni, soprattutto se in menopausa e, se assume certi farmaci, è più soggetta alla lipodistrofia (anormale distribuzione del tessuto adiposo). Una maggior presenza delle donne nelle sperimentazioni cliniche, sia per terapie, sia per vaccini, in ogni parte del mondo, è necessaria per battere l’AIDS in tutto il mondo e fortemente auspicata da medici ed associazioni per la lotta all’AIDS.



cesar78
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Re: SHE: un sito in italiano dedicato alle donne con HIV

Messaggio da cesar78 » venerdì 12 ottobre 2012, 22:20

grazie Dora: abbiamo letto l'articolo oggi ma non ho avuto tempo di postarlo.
E' un argomento cruciale per tutte le donne siero+: l'articolo dice già tutto su chi viene maggiormente arruolato (omosessuali e tossicodipendenti), non lo dico per discriminare, ma mi sembra fortemente consigliato tenere più in considerazione le donne.



Chissenefrega
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Re: SHE: un sito in italiano dedicato alle donne con HIV

Messaggio da Chissenefrega » martedì 7 maggio 2013, 14:45

Ciao Cesar..... it's me... aha ha ha

[Bella iniziativa. Anche se trovo molto incauto e soprattutto fuori luogo la frase:

"E' l'uomo che normalmente porta la malattia all'interno della coppia"]

.... per me è stato così... e poi li che fa?.... piano piano si sta dileguando!!! :shock: ma va?????? aha ha hah



cesar78
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Re: SHE: un sito in italiano dedicato alle donne con HIV

Messaggio da cesar78 » sabato 11 maggio 2013, 11:04

Chisse, lo so che per te è stato così..la mia frase era contestualizzata...ma comunque ammetto che noi maschi siamo più propensi al tradimento e voi femmine alla casa e alla famiglia. :lol:



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